Critics

La pittura di Giuseppe Galli

 

Come da un flash raccolto dall’abile occhio di un reporter si sviluppa e si concreta la pittura di Giuseppe Galli, in un iter raccontato e valorizzato dalla dovizia dei particolari di una quotidiana casualità, fondando un’ arte raccolta e raccontata con professionalità e impegno, immagine riflessa di un particolare tipo di sensibilità, prioritariamente concentrata sull’aspetto scenografico delle impressioni raccolte, tesa alla percezione immediata della realtà fattuale, elaborata nell’intuizione visiva di un istante, prospetticamente annotata sul caso specifico con lo scopo di sottoporlo ad indagine, definirlo, trovarne la soluzione che ci sfugge.Una pittura, quella di questo artista, definibile come immediatezza, come vibrante impressione che sa cogliere la casualità e anticipare i riscontri in un campionamento effettuato con l’agnostica imparzialità di una moviola. Caratteristica sostanziale che gli consente di sviluppare il suo dipinto, animato da colori passionali in cui dominano l’arancione attardiano e il giallo solare, e di connotarlo originalmente non soltanto a livello cromatico. Inventando così una soluzione artistica positiva e attuale, rievocativa a modo suo di miti avanguardistici, e pur tuttavia convincente ed esaltante sia nel contesto della denuncia che in quello della pura e semplice osservazione. Così l’attività rappresentativa diGalli finisce per comporsi sulla tela con la stessa realtà della vita, poco concedendo alle divagazioni ma piuttosto concentrandosi, e con quale perizia, nel gioco delle prospettive e dei volumi nei soggetti prescelti ; vissuti sempre, nel bene e nel male, con una profonda coerenza di fondo che l’artista riesce a trasmettere a livello visivo nel dinamico succedersi degli effetti. Nei cimiteri di macchine, nelle scavatrici o nelle gru svettanti al cielo con la loro promessa di costruzione, nei prediletti scooters su cui i centauri, come impegnati in amplessi amorosi, espongono la loro mascolinità ribelle forse troppo inutilmente sprecata. E ogni soggetto non e mai scelto a caso, ma identificato e proposto in quanto esemplare dell’essenzialità di un fatto, sia esso lirico, costruttivo o cruento. Poiché stranamente, e allora è proprio vero, esiste anche nella sua pittura, ad esempio nei fondali pacati delle montagne usate come sottofondi alla Bellini, una nota di profonda e poetica euritmia ad esempio nell’uso dei colori accomunati con passionalità, nell’intreccio della loro squillante varietà, nella potenza cromatica dei mezzi di locomozione, nella ferrosa autorità dei costruttivi tralicci. Il tutto a denotare una pittura pregevole e accattivante, che trasmette sulla tela l’azione nel suo compiersi e, nei pochi squarci paesaggistici, eleva al cielo un ecologico urlo di dolore quello per la cieca intrusione tecnica che continua a distruggere la natura. Come del resto dimostrato nelle raffigurazioni dei tanti cantieri ampiamente sviluppati in “Quelli del Giubileo”, e conseguentemente nella scomparsa dei suoi patetici tetti di Roma; operazione che, dietro ad un apparente omaggio all’industrializzazione, cela anche, in un’accusa che non offende grazie alla sua altissima e professionale eleganza, l’accorato lamento per tutto cio’ che forzatamente viene meno. Una capacità espressiva su questo tema che in Galli si connota di temi di altissima sensibilità civile e di forte impegno etico e sociale, che l’autore spesso arricchisce di una nota aulica quando, nel suo esaltare il progredire della tecnica costruttiva non sottovalutandone il rischio di devastazione, rende omaggio al necessario rinnovamento e contemporaneamente ci fa rimpiangere tutto ciò che irrimediabilmente passa per non tornare più. E proprio in questo complesso e ambizioso equilibrio tra ricerca di attualità e velata denuncia risiede quel “quid” che pone Galli tra le giovani emergenze, in una prova di autore profondamente nuova, ma ricca di tante risorse e di tante promesse.

 

Ferdinando Anselmetti - da "Quelli che Contano" volume 8, Marsilio Editore.

 

Il rapporto uomo macchina e futuro

 

Le mutazioni della città anticipate da colori e poesie - Un pittore non ancora quarantenne quindi ancora nella pienezza dell’avvio del secolo, ci ripropone il rapporto uomo-macchina. E’ Giuseppe Galli, romano, classe 1964. Quando Fernand Leger (1881-1955) dipinse “I costruttori”, 1950, non era nato. La questione macchina-uomo, o viceversa, è tanto antica, da prima dell’invenzione della ruota. Figlia di un tronco rotante, che fu gran soccorso al lavoro umano al suo sudarsi il pane. Leger dette nella pittura un senso con sentimento e scienza, di presenza nella società alla immagine della macchina. Molti suoi quadri sono “ritratti” di macchine, realizzati come fossero persone. L’uomo-macchina futurista aveva sensazioni di movimenti, al limite di rivolta estetica sull’antifiguratività. Un futurista “antifuturista”, “post-futurista” egli diceva, Alberto Bragaglia (1896-1985) fu tra quelli che dettero sentimento ai “meccanismi” artificiali. Il mondo è pieno di precedenti, perché l’uomo usò la macchina, sino ad abusarne, come la clava di Caino. Al lettore possiamo solo indicare di come la generazione precedente telefonini ed internet (altre macchine della comunità umana) vede oggi, dipingendolo come fa Giuseppe Galli il rapporto tra i meccanismi artificiali e l’uomo-anima. I suoi quadri, narrano visivamente l’avventura nella città dell’uomo, conquistatore e vittima del traffico, dall’uomo stesso provocato, e in cui convive. La attualità di questi quadri non sta nella tematica. Questa può sembrare esasperata nell’attualità: uno scooter su cui l’uomo è annullato perché visto di spalle, ad un incrocio attraversato da un autobus targato Atac (è Roma, quindi). Una autogrù in coda dinanzi a ruderi urbani di Roma antica. Una bici (il rosso del telaio è una sferzata visiva che fa bersaglio sul giallo) legata antiladri, a un palo segnaletico mentre avanza un autocarro con stemma Audi; 4x4, poi 428B, “maia” e poi “cat”. Cifre e lettere su una pala scavatrice. Un quadro che farebbe invidia ai maestri del Lettrismo (anni ’50). Una gru rossa si innalza in “Cantieri del Giubileo”, che sono stati i momenti visivi da cui parte la lettura urbana di Galli. Il rosso (sarà chiamato inconscio, o voluto, al sangue su strade e cantieri incidentati?) ed il giallo, simbolo scoperto, sono l’allarme vitale che questo artista ci dà come sigla visiva, e che lo distingue. La vera essenza di Giuseppe Galli nell’appartenenza al progresso del rapporto uomo-macchina è nell’avere, spesso, reso, il macchinario prodotto dall’ingegno umano con propria solitudine. Quindi quasi avvio all’autonomia. Siamo sul cammino robottiano. Questo parauomo forse un giorno non obbedirà alla volontà del costruttore, magari autocostruendosi. E’ già nella letteratura fantascientifica. Questi quadri, provocano quasi un brivido strano. Come un avvertimento. E’ l’attualità storica dei quadri di Galli, che fanno di ogni sua mostra un’occasione su cui meditare, simultaneamente godendo una pittura di consapevole qualità. L’uomo di oggi sente persino a livello fraterno la misteriosa consanguineità con la macchina. Di un motore che non va, dice: “soffre”. Se il motore va bene, dice: “canta”; il motore come i cigolii di un carro vengono “ascoltati”, per capirli. Questo rapporto è un mistero che avanza nella società attuale, e sta portandoci tra le stelle. All’uomo costruttore la macchina “può sfuggire dalle mani”. E’ l’autonomia, imprevedibile, dell’incidente. Questo ed altro c’è dentro i quadri di Giuseppe Galli, che ferma tale figliolanza dell’uomo in esseri vivi a sé stanti. Sino a provocare, nella pittura contemporanea e di domani, una forma spontaneamente nuova del paesaggismo: al posto delle mucche le automobili, al posto degli alberi tralicci e gru. E di seguito. Sarà il paesaggio del futuro? Speriamo in un fusione con l’anticipazione di poeti e pittori. Giuseppe Galli è su questa strada.

 

Giuseppe Selvaggida "Il Giornale D'Italia", Anno 103, N. 43, Sabato 22 febbraio 2003 

 

 L’uomo e la macchina nella civiltà moderna

 

Una passione che si traduce in opera d’arte - L’incidenza che la macchina possiede nel quotidiano vivere dell’uomo moderno è tanto alta da condizionare spesso la vita. Tanto che il rapporto dell’uomo con la macchina diventa quasi una sudditanza ma anche un atto di amore perché essa rappresenta non solo un mezzo di lavoro ma, a volte, anche il simbolo di uno status sociale che incide sul comportamento stesso dell’utente. Giuseppe Galli ne ha evidente consapevolezza poiché incentra la sua arte proprio sulla rappresentazione di questa relazione uomo-macchina, nei vari momenti dell’esistenza. Viaggia per la città e guarda a monumenti e persone motorizzate le loro rispettive apparenze architettoniche, psicologiche che richiamano la sua attenzione su riverberi artistici di notevole importanza. Nella sua pittura dipinge la frenesia del quotidiano in rapporto con lo svago e il lavoro che di questa frenesia diventa succube. L’attesa impaziente al semaforo di certi motociclisti contrasta con la serenità del pedone sulle strisce e la carrozzeria pare fare tutt’uno con l’uomo perché concepita e dipinta con i colori di quella passione che si trasmette all’ansimare del motore e fa fremere le lamiere della carrozzeria. Perché Galli conosce il rapporto tra le tinte e le adegua al movimento od alla statica della rappresentazione. Laddove il sentimento vince sulla materia è il colore ad averla vinta ed a concedere anche alla materia sorda del ferro quell’anima che non possiede ma che viene concessa dall’artista con la generosità di colui che nel mezzo intravvede il fine. La città che scorre a lato del conducente assume valenze compositive atte a far risaltare la presenza del passante quasi a dire sono io il futuro, colui che intesse la vita e tu ne sei la testimone più chiara e cogente. Galli per questa sua impressionante scorreria nei luoghi metropolitani più frequentati sa isolare la sua visione e proporre elementi che assumono, anche nella loro più scontata conoscenza, quel tanto di mistero che rasenta la magia. Perdono la loro identità per trasformarsi in soggetti di un divenire che la velocità delle motociclette sottende. E lo fa con segno sicuro, colore pertinente e composizione sapiente. Se ai mezzi di locomozione attende con cura e dovizia di particolari non lo è altrettanto per le figure umane che raramente presentano il volto e paiono essere parti meno importanti della scena. A meno che non le si intendono in osmosi tra l’uomo e la macchina, cosicché allora il quadro assume quel valore unitario che tradisce la personalità dell’artista negli stessi elementi di una pittura che più che le parti, giustamente vuol rappresentare il tutto. Pare che uomo e macchina siano percorsi dalle stesse vene nelle quali scorre il sangue o la benzina e vivano di quella fusione della materia che viene vivificata dall’artista con pregnanza di forma e colore sorretti da un segno che tutto racchiude nella costruzione di quel mondo ideale che l’artista immagina. E’ senz’altro una pittura che parte dalla realtà per attingere la fantasia, ma è anche espressione di quella filosofia esistenzialista che Galli stesso impone a suggello delle proprie immagini. Non è la pacatezza di certe immagini a segnare il percorso di questa pittura ma la tensione costante che emerge dalle scansioni del colore racchiuse in orlature dolci che fanno risaltare la consistenza dei corpi nei quali però si sente vagare l’impulso di anime tese non solo ad amare ma anche a vivere la vita. La tavolozza di Galli risente degli influssi della Scuola Romana ma non ne è succube poiché sa usare sfumature e toni freddi che marcano la tessitura della scena di quella nostalgia della quale l’artista pare soffrire nell’atto stesso nel quale si appresta a dipingere. Se ama l’arte non ama di meno i motori e quindi le figurazioni che ne nascono diventano un misto di desideri e fantasie che diventano l’anima che vibra in ogni angolo delle sue tele. Una pittura quindi che, sorretta da una buona predisposizione al disegno, preparazione tecnica e senso spiccato del colore sa interpretare con semplicità ma pertinenza le esigenze di una società che oltre che dell’uomo è una civiltà della macchina.

 

Gianni Franceschetti - da “Rinascita” , Anno VI, n. 29, Giovedì 13 febbraio 2003 

 

La città, le strade, i colori, le sue innumerevoli vite.

 

Una scena straordinariamente intensa e improvvisa : la città circondata da grandi vie sopraelevate raccoglie e solleva il corpo del tempo, la visione della civiltà si sovrappone a quella della maestà della poesia umana nella pittura di Giuseppe Galli. La visione metropolitana ha una temporalità prolungata, implica sequenze, accelerazioni, soste, diversioni sia in superfice che in profondità, che nelle opere pittoriche si colgono con particolare evidenza. Il pittore Giuseppe Galli si palesa come un sorvegliatissimo e complesso elaboratore delle sue composizioni spettacolari, che non hanno nulla di schematico o di ripetitorio, ma continuamente innovano la loro potenza di suggestione attraverso la ricerca d’inedite forme di rappresentazioni, entro a una cultura neoliberativa (la centralità del problema essere al mondo, esistenza a misura d’essere umano), anche quando rovesciata o trasporta ad esiti personalissimi, anzi di significativa originalità. Le strade, i colori, le innumerevoli vite della dimensione città-umanità di Galli dell’esistente, cioè di condizioni di vita e di pensiero dominate da un conformismo di massa che l’arte vuole appunto negare e destituire dal loro fondamento. D’altro canto la composizione pittorica di Galli ha equilibrio di parti nella proiezione generale e le immagini corrispondono nel ritmo totalizzante alla lettura. L’interesse maggiore dell’artista romano resta l’ambiente-città raffinatamente ricostruito ed esaltato nelle sue nervose forme architettoniche, ricco di luce ed in cui ogni particolare è fatto vivere con una sottile indagine e una puntuale evocazione, in un clima atmosferico veritiero al tempo stesso ideale e poetico che permette di recuperare il senso della realtà soprasensibile. La pittura di Galli trova in sè stessa la presenza del soprasensibile, di una forza spirituale che è irriducibile a quella materiale.

 

 

"Centauri del 2000"

 

Gli antichi Greci favoleggiavano dei centauri, uomini col corpo di cavallo, però fortissimi, ma dominatori in tutto della parte ferina, dotati anzi di una saggezza superiore al comune: il simbolo, in ultima analisi, del dominio della parte razionale sulla parte sensibile, sia pure moltiplicata, accresciuta, senza confronto rispetto a quella degli altri uomini.“Centauri” sono gli uomini di oggi nelle opere pittoriche di Giuseppe Galli al volante di uno scooter, che li accresce nelle loro capacità di spostamento ed è soggetto al loro dominio.Ma il confronto, ad una analisi un po’ approfondita, non regge.Il dominio del mezzo meccanico è solo apparente. La macchina esercita una tale suggestione sullo spirito dell’uomo che in molti casi non lo strumento è al servizio dell’essere razionale, ma l’essere razionale al servizio dello strumento. Il  pittore Galli intende rappresentare le macchine che fanno parte di quell’aggressivo, lucente, fragoroso fenomeno che si chiama traffico.Egli “descrive” gli ostili macchinari edili, i veicoli a quattro ruote di cui l’uomo si serve per potenziare la sua forza, partecipare alla gran gara collettiva della vita, e asservirsi al ritmo concitato che la civiltà odierna gli impone. Osserviamole da vicino, queste macchine: una processione di scatole di metallo che avanza rombante, massiccia; s’inceppa, a tratti, ed è percorsa da brevi sussulti d’assestamento; a momenti si scinde in rapidi, e rabbiosi serpenti di metallo, poi di nuovo si ricompone e procede, possente, verso l’ingresso ingorgato d’una grande arteria liberatrice.All’interno di questa processione gli uomini emergono soltanto con la testa, il dorso, le braccia, asserviti al comando come centauri dimezzati, l’energia muscolare contratta, il desiderio d’aria pura mortificato dall’odore dell’asfalto, della benzina, del metallo rovente, il contatto con la natura distorto dalla prigionia nell’abitacolo di guida, ma nello stesso tempo sicuri, soddisfatti e spavaldi. Le storie metropolitane che Giuseppe Galli ci racconta riguardano la vita quotidiana.Non esiste nessuna traccia dì fiction nei suoi quadri, solo la pura, semplice realtà.La realtà esempliflcata e volta sotto l’impulso della sensazione immediata pronta a ritornare in più tempi successivi attraverso la memoria, il ricordo, la forma, il disegno, l’emozione del colore. Spazio e tempo. Il tentativo primario di Galli è quello di rappresentare lo spazio nella sua globalità.A lui non interessa il soggetto, o meglio non interessa il soggetto classico, enfatico, storico, mitologico. Al pittore interessa illustrare lo spazio, anche limitato, in cui l’uomo moderno conduce la sua esistenza fatta di dettagli, di eventi non particolarmente esaltanti, né tanto meno commoventi o epici. L’uso fotografico che Galli fa della sua pittura, la prospettiva sicura, e la tela raccontata fino ai bordi nei minimi particolari per non togliere niente alla visione che ha colpito l’artista, il colore che come se dovesse tessere un arazzo si insinua in ogni “buco” e riempie completamente ogni frammento del dipinto, danno allo spazio e al tempo di Galli un altro respiro.Il pittore individua il campo visivo da mettere a fuoco e sceglie gli oggetti e le figure da mettere a fuoco.L’attenzione dell’artista però non si limita allo spazio, ma si sofferma con sguardo indagatore anche sull’istante che lo avvolge, e lo determina nella sua irripetibilità.Colpisce nei quadri il rapporto di studiata armonia di superfici e di figure, il taglio quasi cinematografico, e ancora i toni impastati di riflessi, lo spazio che si apre nella luce morbida, che pare avvolgere ogni cosa.In tutte le opere Galli potenzia il racconto metropolitano con il colore spesso e sicuro, sobrio e brillante ad un tempo. mai aggressivo, ma adeguato alle immagini; la luce serve al pittore a modellare discretamente il paesaggio cittadino, oggetti e figure che quasi sbalzano fuori dalla tela per venire incontro all’osservatore.

 

Livio Garbuglia

 

 Simmetrie ( IR ) Raggiungibili                                 

 

Immaginare Giuseppe Galli nel momento in cui attribuisce un colore o un melange di colori alla tela e trasporta le immagini dal piano astratto della tavolozza alla purezza dello spazio piano / pittorico non è difficile. L’ artista moderno ha impresso ai volumi “ perfetti “, alle linee svettanti delle geometrie metropolitane il fascino suggestivo di ciò che – vivendo con noi – è diventato parte del nostro io – scolpendo la luce lungo spazi e perimetri che riversano la potenza della memoria in un mondo insieme attuale e futuribile. Con il colore e la linea della mente l’ uomo viaggia attraverso il tempo, scoprendo nei suoi archetipi la metropoli interiore: i ponti naufragano in un tramonto capace di rendere la linea accecante sull’ orlo di una definizione trascendentale delle sue capacità espressive. Le gru ed  i palazzi, che racchiudono la luce in spazi d’ una solarità scalare, suggeriscono l’ idea che ogni forma è un segno dell’ interiorità che l’ uomo è in grado di vivere dall’ esterno al proprio se. 

 

 Linea e Metalinea

 

Il punto di fuga è il momento elegiaco della linea pittorica di Giuseppe Galli al di là della parzialmente convenzionale convinzione in merito a faccende rappresentative che il segno del colore sia la scaturigine originante. Non a caso la drammatica modernità non solo oggettiva ed oggettivante di questo artista deriva dall’ idea che la linea sia, insieme alle sue variazioni e derivazioni, l’ elemento che crea e fonde gli elementi ed i fatti della rappresentazione.Dalla linea partono le tessiture delle idee e delle forme, o meglio, la linea le ricorda e coopera alla loro costruzione, perciò quello che è considerato insito all’ idea di  rappresentazione del pensiero e quello che sembra giungere dai suoi sviluppi successivi è in realtà il segno di una complicità unica, aperta e nascosta. I ponti, i cavalcavia, le strade che come rette infinite ed infinibili, si snodano attraverso il percorso celestiale delle metropoli innervate di umori sulfurei e surreali, rappresentano l’ inverarsi della linea, della linearità nel processo delle sue rappresentazioni successive, delle sue molte vite, nel segno della gioia assoluta dell’ elemento, che è insieme principio formale e coerente ed entità suscettibile di sviluppi. La linea è il punto di fuga da se stessa e dalla realtà che essa disegna con un tratto sottilmente ambiguo e deferente verso la longevità e permutabilità del…fatto – colore; essa si immerge nel corso delle sue variazioni in un tessuto via via più complesso, ma le cui transizioni sembrano scendere lentamente e, diremmo, dolcemente lungo quell’ altra linea, più sottile ancora, dettata inconsciamente dal dramma delle forme e delle metafore che, come le metalinee, descrivono tutto quello che il pensiero non può rappresentare SOLO attraverso se stesso.Galli immagina  una città dalle meravigliose iridescenze un po’ colte dal vero, un po’ filtrate dalla saggezza esoterica del sogno e del sognare attraverso la forma, per cui metalinea è anche metalinguaggio ed il metalinguaggio permette alle forme di essere attraverso varie ed infinite suggestioni, oltre il “ Modern “.

LA RAPPRESENTAZIONE  PITTORICA, DOTATA DI BREVITA’ TAGLIA IL TEMPO IN DUE E COOPERA AL RECUPERO DELLE SCISSIONI FORMALI CAUSATE DALL’ EMOZIONE – PENSIERO.

Essendo la linea, nonostante le definizioni classiche, una entità inquieta, essa immerge il volume rappresentabile in una sua aura di misteriosa cangiabilità – tutto quello che crea l’ uomo e il sé e l’ altro – tutto vive per morire – diremmo – la sua morte nel segno rappresenta la forma di una vita ulteriore e qui la parola “ forma “ assume rilievo proprio per la sua ripetizione – la linea è la forma della forma ed il suo irriducibile laconismo svincolato dalla pochezza, prima che dalla fragilità della parola, nasce col sentimento di un ulteriore rinascita – è, diremmo, provvisoria per vocazione e diventa così metalinea.

 

 Giuseppe Galli e il Moderno

 

I ponti ed i cavalcavia incorporano il colore spaziato nei dipinti di Giuseppe Galli, per i quali il moderno acquista una fascinazione di memoria tutta sua; anche dovuta alla particolare relazione tra il riferimento nel titolo e l’autentico senso del colore occupato dal colore come tale in un ambito composto non solo dalla prospettiva. Il ponte è la linea che supera veramente i confini della sensibilità concreta e si immerge in quella luce vespertina che conferisce ad esso uno stile ed una bellezza “outside time”, al di fuori del tempo. Si veda quello della Tiburtina per esempio.

 

L'antico in Giuseppe Galli

 

Giuseppe Galli applica il principio archetipo delle forme geometriche ampiamente varianti nello spazio. Ottiene questo facendo sì che il colore profilato si inserisca nello spazio profilato – una chiesa od un teatro incorpora il resto del paesaggio piuttosto che il contrario. La luce passa nella forma di una chiesa, di un teatro, o di qualsiasi altro edificio – tuttavia essa non viene staccata dall’edificio durante una più ravvicinata e razionale osservazione dell’elemento. La luce diviene forma poiché viene collegata a qualcosa che è evocato sulle prime e poi descritto. Questo sviluppo implica la fondamentale natura liquida del lavoro pittorico, in cui il progetto ed il raffinamento delle forme dipende dalla idea di ricerca.

                                                                                                                   

FRAMMENTO ED UNITA’

Roma senza tempo – Roesler e Galli a confronto

Il passaggio tra memoria e memoriale adombra quella essenziale relazione tra il frutto dell’immaginazione elaboratrice in termini di passato riscoperto e informazione dettagliata su di un passato che qualcuno prenda ad analizzare per noi e con il quale noi entriamo in stretta dialettica,forgiando emozionalmente quella sintesi tra Utopia della memoria e sensazione lungo la memoria.

Il frammento ridotto ad unità risolve quella scissione causata dalla discrepanza del tempo,ma la discrepanza è inconsciamente ricercata dalla mente per raccogliere le forze e ricostruire ipoteticamente un mondo…nei suoi frammenti – dandoci l’idea di una immagine che si sviluppi creata da qualche forza trascendente all’interno dell’immaginazione,capace di far sì che il profumo delle ombre  e delle zone illuminate dello spazio rappresentato riaccendano in noi il senso di quelle ombre passando alle luci  e muovendo meccanismi fantastici all’interno dell’evento d’ascolto del suono dell’immagine.

E. Roesler Franz dipinse alcuni panorami di Roma durante il decennio 1880.

“Giornelli di pescatori presso Ripa Grande” estende il concetto di spazio liquido,relazionandolo all’altro spazio del cielo attraverso sfumature di colore – Roma sembra dissolversi nella distanza – il punto essenziale del dipinto pare essere una evocazione di qualcosa che può essere esistito in un certo senso.

“Palazzo Altoviti” nella sua gradualmente discendente geometria non viene riflesso sulle acque – esso occupa una area urbana che quasi ricorda quella d una città mediorientale – le masse vengono compresse ed il vivido arancione ombreggiato alla base,racchiude un processo cromatico di fusione tra l’ambiente e l’edificio –  la materia invecchia e svanisce.

“Porto di Ripetta” (1888) invita a considerare l’antrata o la permanenza della nave con i due alberi, nel porto, come la conseguenza dello scambio fra lo spazio immaginato e la proporzione nel suo tempo dilazionato attraverso il colore,che è uno dei vicari dello spazio – nell’indefinito tramonto nutrito d’alba del cielo una luce corpuscolare forma sezioni di energia mescolata – il palazzo e le scale sulla destra con il loro silenzio non detto contengono il senso di attesa del porto e la stasi.

“Avanzi Medioevali sull’Isola Tiberina” rovescia l’idea della migrazione del Passato nel Presente – Il Passato non dovrebbe esistere;il Presente ingloba l’elaborazione incrociata della medesima condizione delle cose – le rovine emergono dall’acqua come se esse fossero costruite lì per essere osservate senza limite di tempo.

“Il Ponte Rotto” (1880)  agevola uno sfociare della luce pomeridiana a seguire la corrente – ed esso letteralmente dipinge sul fiume una sorta di superficie diagonale,che trasforma gli edifici della riva destra in qualcosa di slegato dalle cose rappresentate nella parte sinistra di questo affascinante dipinto – il tempo viene diviso in due parti – esso appare un desiderio di passaggi ravvicinati dall’illuminazione concreta alla sbozzata esperienza dell’ombra e dell’antichità resa sensibile.

L’olio su tela “Luce-vita in Vaticano” di Giuseppe Galli considera la forma come l’inizio da un punto di vista oggettivo,analizzando il suo potere attraverso un immaginario girarsi dello sguardo – una mutazione,un lieve cambiamento nella prospettiva visuale – le forme date dalla luce tendono all’oscurità,ma non vengono dissolte – esse esistono come forma visibile…per sempre – perché la luce della mente dà ombra alla solitudine del tempo,della sua relazione serale con quelle forme

Medesime – questo perfetto e caratterizzato dipinto fluisce dal basso verso l’alto,attribuendo al frammento una unità che appartiene al soggetto e cerca l’universale nel suo sé.

Roesler tenta di far scivolare il colore lungo lo spazio piano della tela

-Galli cattura il colore in una forma di dettaglio dando alla inconscia energia delle ombreggiature il ruolo di portatrice di sottile intuizione  luminosa.

 

Paolo Scaramella Proietti

 

Luci e ombre della città eterna

 

Lo scenario è quello di un mondo interiore, dove la presenza della figura umana non appare necessaria. Provate ad affacciarvi da un angolo della salita del Quirinale a Roma...il Realismo Metro- politano di Giuseppe Galli, nato a Roma, capace di cogliere come in una fotografia, uno scorcio del Vaticano, uno spaccato della madre Chiesa, che tutto e tutti abbraccia. Tutto si muove e prende vita dal cupolone in giù, il colonnato accoglie, i tetti riparano, le vie raccontano...luci e ombre, colori della città eterna nella sua quotidianità...

 

Zelli Merhan - Museo Crocetti

Una pittura come lievito poetico che ravviva e che domina

 

Case e palazzi, vie e piazze sono presenti da sempre o quasi, nella pittura; poi la scena si arricchì sempre di più grazie all’invasione (di cui oggi oltrechè testimoni siamo vittime) delle macchine. Potremmo qui richiamare come esempio eccezionale, certi quadri del grande Mario Sironi anche se le sue piazze in confronto a quelle di oggi sono mute. Venne poi il Realismo, e poi le scavatrici, le gru nei cantieri, i motorini, eccetera. Ed è a questi soggetti che spesso e volentieri Galli rivolge la sua attenzione: in nome tuttavia della pittura, e non d’altro, poiché nei suoi lavori essa è lievito poetico che ravviva e che domina.

 

Enzo Fabiani - Volume Mondadori, “Nuova Arte – 2001”

 

Galli e l'accordo degli opposti

 

Giuseppe Galli, pittore che racconta, la realtà con lo scrupolo apparentemente disincantato di un archivista di “accadimenti” (mi si passi il termine usato dal Croce in opposizione a quello di “eventi”) – e lo testimonia la serie dei “cantieri del Giubileo” con il suo immenso combinatorio di macchine -, ne penetra in verità il tessuto con un misto di giudizio critico e di poetico transfert. Nelle sue ultime opere sono riprodotti un trattore davanti al pronao tetrastilo di un tempio greco-romano e delle motociclette. La simultaneità temporale dell’antitesi nel primo dipinto stimola una severa meditazione, ma conta molto la correttezza linguistica, che rivela un consumato mestiere, utilissimo per tradurre al meglio il motivo ispiratore. Galli è artista che, pur ponendosi delle problematiche implicanti, sente lo scrupolo prioritario dei risultati d’ arte.

 

Renato Civello - da "Secolo d' Italia", Anno LII, N.46, Domenica 23 Febbraio 2003 

 

Spazialità antiche e feticci del nostro tempo

 

Concettualmente elaborati i dipinti di Giuseppe Galli, appaiono come immagini filtrate da un originale diaframma culturale, i cui “Cantieri e Scooter” diventano l’ordito reticolare di una realtà sensibilmente segnata. L’artista, accattivante nelle sue immagini contrapposte, (chiesa barocca da sfondo a lavori in corso), scandaglia l’intimo delle cose per restituirlo carico di valenze superiori, nella originalità delle composizioni e nell’immediatezza delle emozioni. Le sue tematiche nascono dalla percezione dell’empietà di questo nostro tempo, riabilitato secondo immagini e composizioni rivitalizzate nelle tonalità pure e seducenti nella loro definitiva identità. Giuseppe Galli con le sue opere conferma il suo costante impegno nel campo della ricerca di una giusta simmetria compositiva, all’interno della quale tutti gli elementi trovano una precisa collocazione e giusta ragion d’essere. Con la stessa intuizione, l’artista si appropria di elementi compositivi espressi secondo tonalità forti e suadenti, per restituirli effigiati nei loro più profondi significati. Vivacizzando spazialità antiche, con feticci del nostro tempo, il Galli esalta il senso prospettico,in una caleidoscopica visualizzazione della sua libera creatività.

 

Anny Baldissera

 

L’armonia nel colore e l’equilibrio delle forme

 

La città, le macchine, le persone, il colore, il calore, il rumore, sono questo miscuglioinquietante di cose, che avvolge in modo implacabile la vita e la pittura di Giuseppe Galli. Sorprendente è la capacità inventiva del pittore che dà un significato esplicito alla sua opera mettendo in armonia due elementi apparentemente dissociati: il caos e l’ordine. Sul primo ilGalli vuol dare con il colore corposo il senso concreto ed esplosivo della materia, nel secondo cerca nel disegno di ordinare le forme con un sapiente rapporto tra linee curve e linee rette consentendo così al colore di lievitare dentro spazi ben armonizzati. Le composizioni sono buone e adeguato il trattamento per cui nei propositi del pittore è sempre presente quello che i Greci chiamavano kairòs (giusta proporzione). L’armonia nel colore e l’equilibrio delle forme sono caratteristiche principe nell’opera fortemente espressiva del pittore Galli.

 

Sandro TrottiProfessore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma